Chi salverà l’Argentina da se stessa?


L’albicelste è una squadra piena di contraddizioni, come il paese che rappresenta. Basterà un grande Leo Messi per salvarla da sé stessa?


La preparazione dell’Argentina al prossimo Mondiale di Russia parte da lontano. Parte quattro anni fa, dalla cocente sconfitta nella finale Mondiale contro la Germania, che con un gol di Götze nei tempi supplementari spense il sogno argentino di guardare tutto il mondo dall’alto, con la stessa aria di altezzosa superiorità con cui il Cristo Redentore veglia su Rio de Janeiro. Da lì ad oggi, l’albiceleste deve fare i conti con altre due finali perse, entrambe in Copa America, entrambe ai rigori, entrambe contro il Cile, che mai prima del 2015 aveva vinto la massima competizione del Continente americano, per poi trovarsi, per uno scherzo del destino, a vincerne due in due anni di fila. L’evento è certamente anomalo, in quanto questi tornei normalmente si disputano ogni quattro anni, ma la CONMEBOL aveva scelto di organizzarne un’edizione speciale per celebrare il centesimo anno dalla sua creazione. Quasi come fosse stato fatto appositamente per sferrare l’ennesima, sadica coltellata alle spalle del paese che si auto-attribuisce l’invenzione dell’amore per il calcio. Fossero stati americani, avrebbero potuto costruirci su una teoria del complotto mondiale con un potenziale da “Miglior Sceneggiatura” agli Oscar, ma gli argentini discendono massicciamente da noi italiani, e fra i tanti vizi che hanno ereditato c’è certamente la pigrizia. Di conseguenza, questi quattro anni li hanno passati sorseggiando un mate pieno di infelici illusioni con uno degli svariati tango malinconici di Carlos Gardel in sottofondo, di tanto in tanto bruscamente interrotto da un ¡Aguante corazón! (Resisti cuore!) proveniente da una televisione rimasta accesa da chissà quanto tempo, perché se Messi non era ancora riuscito a far vincere qualcosa all’Argentina figurati che impresa impossibile alzarsi per prendere il telecomando e spegnerla.

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Neanche le qualificazioni al Mondiale russo sono state, infatti, una passeggiata (almeno, io avrei un po’ di difficoltà a definire le mie passeggiate angosciose o agoniche, ma ognuno è libero di vivere la propria vita come meglio crede). Il girone di qualificazione sudamericano disputato dall’Argentina è iniziato sotto la guida tecnica di Gerardo Martino, proseguito con l’interregno del Patón Edgardo Bauza, e terminato con l’attuale Commissario Tecnico Jorge Sampaoli (colui che nel 2015 sconfiggeva proprio l’Argentina in finale di Copa America col Cile). Parliamo di girone sudamericano perché le qualificazioni delle squadre latinoamericane si disputano in una sorta di campionato in cui, tutti-contro-tutti, ci si gioca l’accesso alla fase finale del Mondiale, garantito alle prime quattro classificate. L’Argentina è arrivata terza, totalizzando una media di 1,5 punti a partita. Per rendere un’idea un po’ più concreta, questa media, se proiettata a lungo termine, in uno qualsiasi dei massimi campionati europei garantirebbe più o meno un settimo posto finale. Un risultato mediocre per una selezione che mediocre non è, specialmente in quelcontesto, nonostante, come vedremo, presenti limiti strutturali impossibili da ignorare. Il punto più basso durante le qualificazioni viene certamente toccato durante la guida Bauza, dimostratosi essere l’uomo sbagliato nel ruolo sbagliato. L’albiceleste, al subentro di Sampaoli, riesce poi a qualificarsi soltanto all’ultima partita – e per una favorevole combinazione di risultati delle dirette concorrenti – grazie alla tripletta di Leo Messi contro l’Ecuador, dimostrando per l’ennesima volta di essere una squadra altamente dipendente dal suo capitano. Nel bene e nel male.

Il girone di qualificazione dell’Argentina è costellato di gare esteticamente deprimenti, ma ne ha regalate anche di quelle che ti fanno saltare dalla sedia per novanta minuti. Se volete vederne una del secondo tipo consiglio la penultima partita, giocata a Buenos Aires contro il Perù, perché c’è tutto quello che puoi cercare in 90’ di passione calcistica. Specialmente il sentimento fondante di questo sport: la disperazione. Questa è la partita intera raccontata magistralmente da Rodolfo Depaoli, capace di trasferire allo spettatore tutte le emozioni che dagli spalti della Bombonera esondano sul campo.

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Dunque, tutto bene quel che finisce bene: al Mondiale troveremo una selección galvanizzata da questa impresa epica e pronta a dare battaglia a tutti, giusto? No. Anzi, assolutamente no. La banda di Sampaoli, senza Messi, ha infatti chiuso il giro di amichevoli appena precedenti alle convocazioni finali venendo bullizzata in diretta globale dalla Spagna. Il 6-1 maturato al Wanda Metropolitano (che in Spagna passerà alla storia come il risultato che ha persino reso possibile un’ovazione al separatista Piqué in terra madrileña) porterà al Mondiale un’Argentina fin troppo conscia dei propri limiti e delle grandi differenze che esistono con le nazionali più complete e consolidate. È più probabile che ciò scaturisca un’aura di depressione nel gruppo, almeno nei primi tempi, piuttosto che uno stimolo a vendicarsi della figuraccia. Questo, che tuttavia dipenderà tanto anche dal lavoro di motivazione dell’allenatore, potremo saperlo soltanto fra qualche settimana.

Come gioca (e come giocherà) l’albiceleste?

Jorge Sampaoli soffre il calcio attuale: “Preferisco un film, un concerto Rock, o ascoltare un discorso del generale Perón … Il funzionamento del collettivo e la strategia li apprezzo in pochissime squadre. Vedo giocate, non calcio. E questo mi crea una sensazione di frustrazione: c’è una frattura fra quello che vedo e quello che vorrei vedere”. Una frattura che certamente esiste anche nella sua Argentina, in cui ha avuto troppo poco tempo per mettere in campo il suo stile di gioco, e le idee troppo poco chiare perché questo processo potesse essere portato a termine efficacemente.

Sampaoli dice di averne sempre bisogno, del tempo, e che il pressapochismo e la pressione che la fanno da padrone nel calcio moderno non lo aiutino per nulla. E anche in una situazione in cui tempo, oggettivamente, non ce n’era, l’allievo di Bielsa ha comunque voluto provare ogni singola soluzione a sua disposizione: in dieci partite da allenatore della selección non ha mai schierato la stessa formazione titolare, impiegando nel processo la bellezza di 48 (sì, quarantotto) giocatori, 37 dei quali sono stati mandati in campo dal primo minuto in almeno una partita. Per certi versi questo è dovuto ad alcune mancanze strutturali della rosa, che per essere sopperite necessitano qualche esperimento in più del dovuto. Dall’altro lato, però, Sampaoli non si è calato nell’ottica di idee secondo la quale in un lasso di tempo così ridotto, e soprattutto in una nazionale, il modus operandi più proficuo sia anche quello più semplice: prendere i giocatori migliori e assemblarli un sistema di gioco che possano interpretare senza troppi patemi d’animo. Adesso il ritiro ad Ezeiza nelle poche settimane che anticiperanno il Mondiale sarà cruciale per capire come deciderà di giocare l’Argentina. Possiamo tirare ad indovinare (perché di questo si tratta), ma prima vediamo chi dei tanti candidati è stato chiamato ad interpretare questo sistema di gioco.

Il CT argentino aveva affermato con sicurezza di avere già in testa l’80% dei convocati, ma questo avveniva prima delle amichevoli con Italia e Spagna. Probabilmente il risultato della seconda avrà regalato all’allenatore della provincia di Santa Fe più dubbi di quanto si aspettasse. In tutta l’Argentina il 6-1 ha fatto immediatamente scattare la caccia all’uomo, addirittura arrivata fino ad un senatore apparentemente intoccabile come Mascherano – che dopo il ritiro “spirituale” in Cina ha perso molta, molta brillantezza. A vederla da un altro punto di vista, invece, quell’ “80%” suona come l’ennesima iperbole di un uomo a cui non piacciono le banalità. In fondo, perché avrebbe dovuto continuare a schierare debuttanti e novizi (Bustos, Meza, Lautaro Martínez e Tagliafico, fra gli altri), proprio in quelle due partite in cui poteva cementificare specifici concetti di gioco con i suoi fedelissimi, se nella sua scatola cranica albergava già un modello ben delineato? Insomma, prendere 23 giocatori da una lista di 48 non sarà stato il lavoro di una notte, e Sampaoli ne avrà passate di notti insonni prima di decidere chi portare con sé. Questo ne è il risultato:

Chiquito Romero figura nella lista ma al Mondiale non ci sarà per via di un problema al ginocchio. Al suo posto, Sampaoli ha chiamato Nahuel Guzmán.

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Come se non bastasse dover pescare da un cappello contenente 48 bigliettini, ci sono addirittura delle novità rispetto alle precedenti convocazioni. Un esempio è Franco Armani, affidabile portiere del River Plate richiesto a gran voce da tutto il Paese e con vivide speranze di giocare titolare dopo l’infortunio di Romero. Perché non va dimenticato che i giocatori argentini di residenza, quelli che per andare in Russia prenderanno un volo dall’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires, contano, e anche tanto. Servono perché aiutano l’allenatore ad auto-legittimarsi agli occhi dei media nazionali, ma anche perché portano con loro quello spirito sudamericano ruspante che ancora non è stato corrotto dalle promesse di gloria provenienti dal continente europeo. Gli uomini di casa saranno l’ala Pavón e i centrali di centrocampo – i cosiddetti cinco – Enzo e Pablo Pérez. Scende una lacrima per la non-convocazione per quello che sarebbe stato l’ultimo Mondiale di Fernando Gago, che non è riuscito ad accumulare abbastanza minuti dopo la commovente rottura del crociato nella gara di qualificazione col Perù (di cui sopra). Al suo posto, anche in maniera abbastanza sorprendente, ci sarà Maxi Meza dell’Independiente, promettente enganche – trequartista, per i meno hipster – che nell’albiceleste ha giocato soltanto per 90’ minuti nella sciagurata amichevole spagnola.

¡Déjame jugar! Ma ti si è appena rotto il crociato…! No importa!

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Tanto chiacchierato è stato il rebus Icardi-Dybala, i due unici veri esponenti di un ricambio generazionale che all’Argentina è fatalmente mancato, e che sembra essere il reale ostacolo che non permetterà a questo Paese di disporre di una squadra competitiva in ogni reparto per il prossimo Mondiale. Per il primo le speranze erano veramente poche: è stato provato in un paio di occasioni e non è piaciuto, tanto che Sampaoli gli aveva anche preferito il giovane attaccante del Racing di Avellaneda Lautaro Martínez (in rampa di lancio, sì, ma non ancora paragonabile). Forse non gli è stata data abbastanza fiducia, ma, in realtà, se contiamo che Higuaín e Agüero non sarebbero e non sono mai stati messi in discussione, Icardi per l’Argentina era semplicemente superfluo. Su Dybala, che qualche possibilità in più dell’attaccante interista le ha avute, seppur senza averle sfruttate, Sampaoli ha comunque usato parole forti: “pensavamo che fosse un giocatore di vertice. Lui sta facendo fatica ad integrarsi: o non siamo stati bravi a trovargli una posizione o lui non è riuscito ad adattarsi alla nostra idea che è diversa da quella del club”. Alla fine, e non senza patire, lo juventino l’ha spuntata e sarà il vice-Messi. Ma qual è, esattamente, questa idea di Sampaoli? Adesso sì che possiamo parlare di gioco.

Jorge Sampaoli è uno studioso del calcio, particolarmente innamorato dei concetti di gioco utilizzati prima di lui da Marcelo Bielsa. Negli innumerevoli cambi di formazione della sua selección, poche volte il gioco espresso è stato anche solo lontanamente gradevole, e quasi mai è stato possibile unire le 10 gare disputate sotto la guida tecnica di Sampaoli attraverso un minimo comun denominatore tattico. Caos, e la pelota siempre al diez ove possibile, per riassumere, sono stati i leitmotiv di questa gestione. L’unica reale filosofia di gioco che è stata effettivamente assimilata dai giocatori è quella della costruzione dal basso utilizzando passaggi rasoterra, una delle classiche pretese di Sampaoli, che a volte ha anche prodotto qualche buon risultato. Altro concetto di gioco su cui l’ex Sevilla punta molto è il pressing alto e affrettato per recuperare palla dove l’avversario non può difendersi con tranquillità. Manco a dirlo, più facile a dirsi che a farsi quando la formazione cambia una partita dopo l’altra. Qualcosina del genere si è vista nell’amichevole contro l’Italia, ma in una competizione seria si gioca per lo meno al doppio della velocità a cui si giocava quella partita.

Parlando di costruzione dal basso, qui Higuaín commette un errore grossolano sotto porta, ma l’azione è davvero splendida.

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Sopra ho ipotizzato due soluzioni tattiche che l’Argentina potrebbe mettere in atto, per quanto nemmeno essere dentro la testa di Sampaoli in questo momento probabilmente garantirebbe una previsione accurata. La prima, un 4-4-2 sbilanciato verso sinistra, è quella che porterei in campo io; la seconda, un particolare 3-4-3, potrebbe essere una soluzione gradita a Sampaoli, prendendo come punto di riferimento alcune partite di quest’ultimo ciclo e la sua più estesa storia da allenatore. Probabilmente sarà sul 4-4-2, che veste meglio i punti cardine di questa squadra, Messi in primis, dove ricadrà la scelta finale. Personalmente, credo che lo abbia capito anche Sampaoli. La realtà, però, è che non c’è nulla di certo e che queste rimangono supposizioni, educate – come direbbero gli inglesi – ma comunque supposizioni.

Qualsiasi sia la scelta finale del tecnico, l’Argentina difficilmente riuscirà a nascondere due enormi falle strutturali nella sua rosa. La prima sono i laterali difensivi. In un ruolo a lui molto caro, e a cui sempre di più il calcio moderno sta dando importanza, Sampaoli manca infatti di tecnica, affidabilità difensiva ed esperienza ad alti livelli. Tutto, praticamente. La soluzione migliore per nascondere questo difetto potrebbe essere mantenere i terzini bloccati sulla linea di difesa e lasciare i compiti offensivi interamente al reparto d’attacco, vera punta di diamante di questa nazionale. Il Commissario Tecnico ha anche provato ad inserire Di María come esterno di centrocampo davanti ad una difesa a 3, ma questo assetto, oltre che molto rischioso difensivamente, rischia di limitare oltre il necessario il potenziale offensivo del fideo. Inoltre, sarebbe delittuoso se Di María, per un motivo o per un altro, non si trovasse il più vicino possibile a Messi quando quest’ultimo si accende: gli scambi fra i due sono infatti una delle poche chiavi di gioco offensivo di questa nazionale.

Il problema principale, però, risiede a centrocampo: il luogo dove proverbialmente si vincono le partite, per l’appunto, è anche dove l’albiceleste è spaventosamente più povera – specialmente perché non può contare su giocatori tatticamente eterogenei, ma non solo. Mancano le mezz’ali, l’esplosività, la capacità di attaccare gli spazi, il colpo di genio. L’Argentina è per questo sostanzialmente condannata a giocare con due mediani piatti, ma anche in quel caso trovarne due che si completino a vicenda risulta alquanto difficile. Il mio pronostico è che, alla fine, Sampaoli a Biglia (idealmente certo del posto da titolare, noie fisiche permettendo) affiancherà Mascherano, nonostante quest’ultimo debba seriamente rimettersi a lavoro per essere fisicamente all’altezza di un Mondiale dopo la sua rovinosa scelta di andare in vacanza all’Hebei Fortune. L’insormontabile problema di questi due numeri 5, però, è che sono fondamentalmente statici nello svolgimento delle loro mansioni, e affiancarli contro reparti di centrocampo più folti, mobili e tecnici potrebbe rappresentare una condanna già da prima del fischio d’inizio (qualcuno ha detto Spagna-Argentina 6 a 1?).

Appena si è confrontata con un centrocampo di alto livello, l’Argentina è crollata. E l’assenza di Messi, per quanto possa sembrare strano, non ha cambiato molto.

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Qualora Mascherano dimostrasse di non avere più il passo del volante, Sampaoli potrebbe anche decidere di arretrarlo in difesa. Il tecnico si fida di lui, e la sensazione è che lasciarlo in panchina sarebbe in generale una scelta molto dolorosa. (Del resto, non è proprio facile tenere fuori un giocatore che, essendo la sua ultima esperienza in nazionale, si definisce come “Un soldato che va diretto a morire”). Un possibile partner di Biglia sarebbe potuto essere l’uomo di casa Leo Paredes, ma Sampaoli l‘ha sorprendentemente lasciato a casa, anche a fronte di una stagione poco esaltante allo Zenit San Pietroburgo. È stata provata anche la soluzione Banega, ma la discontinuità e la fragilità difensiva del centrocampista del Siviglia non lo rendono il miglior candidato. Forse Enzo Pérez, che ha giocato la gara decisiva contro l’Ecuador? È un rebus. Optando per un centrocampo a 3, anche se sopra non ho ipotizzato l’eventualità, il CT potrebbe scegliere una soluzione più qualitativa, per esempio schierando Lo Celso e lo stesso Banega ai fianchi di Biglia (qualcosa del genere è stata provata nell’amichevole contro l’Italia). In ogni caso, è un bel casino, e non vorrei essere nei panni di Sampaoli ora che è il momento di sbrogliarlo. È la classica situazione “come fai sbagli”, però con un attacco del genere sbagliare il meno possibile potrebbe portarti anche discretamente lontano nella competizione.

L’Uomo Chiave

L’undici argentino, qualunque esso sia, allo stato attuale delle cose non riuscirebbe nemmeno ad avvitare una lampadina senza Messi. Davvero (se stia implicitamente intendendo che battere l’Italia sia attualmente più facile di avvitare una lampadina? Potrebbe darsi). Se siete arrivati a leggere fin qui, non credo che abbiate realmente bisogno di una spiegazione sul perché Messi sia importante per una qualsiasi squadra di pallone. Allego dunque gli highlights della sua ultima, e soprattutto decisiva, partita con la nazionale argentina e un sito in cui è possibile consultare tutti i record che detiene attualmente (http://messivsronaldo.net/all-time-stats/)

La tripletta di Messi che ha qualificato l’Argentina al Mondiale di Russia 2018.

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Il Pronostico

E quindi? Cosa pesa di più: la grande inconsistenza di uomini e gioco o la presenza del migliore giocatore al mondo? Molto dipenderà da come Messi saprà gestire quella che Sampaoli ha definito “una pistola alla tempia chiamata Mondiale”, a simbolizzare la folle pressione a cui il capitano dell’albiceleste verrà sottoposto questa estate. Perché deve prendere per mano un paese che come scialuppa di salvataggio in un mare di casini ha, e ha sempre avuto, il fútbol. Perché deve dimostrare al mondo intero, una volta per tutte, di essere il migliore. Perché deve dimostrare, questa volta a sé stesso, di non aver fatto la scelta sbagliata decidendo di non ritirarsi dalla nazionale dopo l’ennesima sconfitta in una finale. O semplicemente perché è Lionel Andrés Messi, e quando sei Lionel Andrés Messi con la pressione ci vivi, ci mangi, e ci vai a dormire.

Ce la farà? Può darsi. Basterebbe questo per vincere? La risposta è azzardata, ma è difficile che basti soltanto Messi. Ci sono veramente tanti handicap con cui deve convivere l’Argentina. Non solo tecnici, su cui mi sono già dilungato, ma anche caratteriali: tre finali su tre non le perdi certamente perché sei uno sfigato – discreto, anche – e basta. Prima delle grandi partite, intanto, ci sarà da superare il Gruppo D, completato da Croazia, Nigeria e Islanda. Arrivare primi potrebbe voler dire confrontarsi con Perù, Spagna e Germania prima di un’eventuale finale, mentre un secondo posto delineerebbe un ipotetico percorso – paradossalmente più abbordabile – in cui l’albiceleste affronterebbe Francia, Portogallo e Brasile.

La mia speranza è che l’Argentina – tutta, non solo Messi – riesca a vincere questo Mondiale, ma il mio pronostico, purtroppo, è che non andrà oltre i quarti di finale. In ogni caso, aguante corazón, aguante. Ce ne sarà bisogno.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Sportellate.

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