Dalla Svezia con timore


Oscar Hiljemark, a 24 anni e dopo quasi due stagioni passate in Italia, ha scelto il Genoa per provare a portare a termine la ricerca di sé stesso.


È il 30 giugno 2015 quando Oscar Hiljemark, da capitano della sua Svezia, alza la coppa dell’Europeo Under 21, vinto su suolo ceco contro il Portogallo di João Mário, Raphaël Guerreiro e Bernardo Silva. A quel punto diverse squadre d’Europa chiamano il PSV Eindhoven per portarsi a casa quel biondo che tanto bene aveva giostrato il centrocampo dei campioncini europei. Sarebbe bello continuare scrivendo che il Palermo non ci abbia pensato due volte a prendere Hiljemark, l’inizio perfetto di una delle tante favole di diamanti grezzi che, passando dalla Favorita, sono diventati preziosissimi gioielli. Ma questa non è una favola, anzi.

Come se fosse un segno del destino, è proprio nella mattina del 30 giugno che i palermitani si svegliano sotto shock: Federico Viviani ha annullato le visite mediche nel cuore della notte. Andrà a Verona, facendo saltare un affare fatto da 4,5 milioni. È allora che Zamparini accarezza l’idea Hiljemark come regista di centrocampo, portandolo in Sicilia un paio di settimane dopo per 2,5 milioni.

È l’inizio di un’avventura per cuori forti, in cui Hiljemark ha l’arduo compito di rappresentare il sostituto dell’instancabile capitan Barreto, partito verso Genova lasciandosi dietro una piazza sentitasi tradita. Un’eredità gravosa sul piano tattico, ma a rimpiazzare il paraguaiano nel cuore dei tifosi c’era addirittura riuscito Chochev nel finale della passata stagione – un lavoro, dunque, non eccessivamente arduo. Quella veramente pesante, di eredità, lo svedese decide di portarla sulle spalle: Oscar sceglie la 10, un tempo simbolo di Fabrizio Miccoli, ancora follemente amato dalla curva (nonostante i più abbiano decisamente preferito dimenticarselo viste le sue vicende giudiziarie). Hiljemark però rassicura subito: “Tranquilli, non sono un numero 10”. Il “E allora che te lo sei preso a fare?” sorge spontaneo, ma chi sono io per giudicare?

La sua storia nel Palermo non potrebbe iniziare meglio: sebbene Hiljemark subentri dalla panchina, i rosa – ormai orfani non solo di Barreto ma anche della Joya Dybala – portano a casa 6 punti in due partite e si prendono la vetta della Serie A. Da lì in poi, lo svedese monopolizza la scena. Contro il Carpi gioca la sua prima gara da titolare, togliendosi lo sfizio di aprire le marcature dopo una manciata di minuti, in una partita che terminerà 2-2. Sembrava un onesto punto, nulla che potesse cambiare le sorti di una stagione che si prospettava una tranquilla passeggiata verso la salvezza. In pochi avrebbero pensato che quello si sarebbe rivelato uno degli scontri più decisivi per restare a galla.

La svolta, quella vera, sembra arrivare una settimana dopo, a Milano contro il Milan. Hiljemark pare aver di fatto già preso pieno possesso della titolarità, nonostante ricopra il ruolo di mezz’ala sinistra e non quello di perno basso davanti la difesa per la quale in realtà era stato preso. Lo svedese segna due gol nella notte di San Siro e, nonostante la vittoria finale del Milan per 3-2, il giorno dopo i titoli dei giornali sono tutti per lui: la grande intuizione di Zamparini dalle innate capacità di inserimento. Ma come? Dopo giusto una manciata di partite?

La sua prima doppietta italiana.

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Certo, i tre gol in due partite da titolare facevano sensazione. E mentre leggevo la Gazzetta in quel nebbioso mattino Milanese, un po’ stranito da questo assalto mediatico, cercavo di convincermi che forse sbagliavo io a non essere stato abbagliato dalle doti di questo giocatore. Un errore di disattenzione, in fondo i gol parlavano chiaro. E poi c’era ancora veramente tanto tempo per veder crescere quel vichingo in un campionato a lui ancora nuovo.

Passano le partite, Hiljemark ormai si è ritagliato il suo spazio. Io, però, continuo a non capirlo. E il Palermo inizia veramente ad arrancare, segno che il rapporto fra il tecnico Iachini e Zamparini sia arrivato ai minimi storici. L’esonero arriva addirittura dopo la vittoria contro il Chievo dell’8 novembre, nonostante la squadra abbia in maniera eclatante dimostrato quanto attaccamento ci fosse nei confronti del proprio allenatore.

Il sostituto designato è Ballardini. Qui inizia una stagione a sé, fatta di scelte societarie inconcepibili e di un calo complessivo della rosa che porteranno il Palermo a vivere periodi di assoluto sconforto sul fondo della classifica.

Il punto più basso lo tocca nel quarto turno di Coppa Italia, perso contro l’Alessandria 3-2. Hiljemark è in campo per tutti i 90’, partecipe di uno dei più grandi saggi di disorganizzazione che abbia mai visto mettere in scena da una squadra di Serie A, per giunta contro un avversario di Lega Pro (che arrivò in semifinale, è vero, ma sempre di modesto livello rimane). Si teme addirittura che la squadra abbia volutamente remato contro Ballardini ed elementi fondamentali come Maresca e Rigoni vengono temporaneamente allontanati dalla prima squadra.

Le teorie complottistiche non reggeranno per molto. A Ballardini (praticamente esonerato in diretta televisiva da Sorrentino) succedono Viviani, Barros Schelotto, Tedesco, Bosi, Novellino e Iachini – sì, di nuovo Iachini.

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Di certo Hiljemark non è aiutato da tutto questo trambusto, ma è dai giocatori dalla maggior dote tecnica come lui che molti si aspettano una reazione. Nonostante i tanti allenatori, generalmente, Oscar è sempre titolare e, con rare eccezioni, sempre collocato alla sinistra del mediano davanti la difesa. Passata più di mezza stagione, diventa lecito pretendere qualcosa in più da lui. Ma in più di che cosa? Cosa diamine è un Hiljemark?

Andiamo per gradi. Oscar Hiljemark, nato nella piccola cittadina svedese di Gislaved nel 1992, è un centrocampista dai piedi buoni – concetto da non confondere con regista. Alto un metro e ottantaquattro, non è un gigante, ma la solida struttura fisica lo rende un giocatore particolarmente adatto al calcio moderno. Il passo non è dei più svelti, ma sa rimediare con una discreta lettura del gioco. E fin qui, tutto bene. È quando devi andare in profondità, capire Hiljemark, che sorgono i primi problemi. Arrivato in Sicilia, Oscar spiega che i suoi idoli sono Zidane e Pirlo, ma che lui non ha nulla a che vedere con loro: è un centrocampista box-to-box, come direbbero in Inghilterra (un’instancabile, capace di difendere nella propria area per poi ritrovarsi in quella avversaria sul ribaltamento di fronte). Fughiamo ogni dubbio: ad oggi, lo svedese è ben lontano dall’essere il Vidal o il Yaya Toure scandinavo, e dubito diventerà mai qualcosa di anche solo vagamente simile.

Una visione ancora più distorta ce l’ha il suo agente, Carl Fhager: “Un paragone con un giocatore della Serie A? Dovendo fare un nome, si può dire che per certi versi ricorda Claudio Marchisio”. Qui la fantasia si spreca, ma da un agente ce lo si può aspettare. Di Marchisio c’è veramente poco: manca il dinamismo e la facilità di andare al tiro del suo periodo da mezz’ala, e la sapienza e le geometrie del suo attuale stadio da centromediano.

A dirla tutta, è molto complesso paragonare Hiljemark a qualche giocatore affermato, soprattutto perché lo stesso Hiljemark non ha ancora deciso cosa diventare da grande. Gli inserimenti, quando li fa, sono a tempo. Il tocco di palla è pulito, la visione di gioco è buona, le verticalizzazioni – ancora –, quando le cerca, sono decisive. Quando vuole, il fisico sa piazzarlo bene per difendere un possesso o ostacolare un avversario. Pare evidente che il problema sia il quando si decida proprio a fare tutte queste cose. L’incompiutezza sembra una costante, che a sua volta lo rende un’incognita. Piuttosto che chiedersi che ruolo abbia Hiljemark, la questione più impellente diventa cosa sia Hiljemark: un eterno svogliato o un timido del pallone? Settimana dopo settimana, pare chiaro che al ragazzo manchi una buona dose di personalità, almeno quanto basta per non fargli mai venire in mente che un tiro o una verticalizzazione (entrambe giocate tecnicamente nelle sue corde) siano più necessarie di un passaggio orizzontale. Spesso in ritiro lo si vede da solo, con le cuffiette sempre nelle orecchie – rifiutando addirittura la compagnia del connazionale Quaison. Ma questo è un dato che vuol dire tutto e vuol dire niente: anche Vázquez stava spesso da solo, ma la differenza la faceva eccome.

Ciò detto, in mancanza di guizzi decisivi, il ruolo da mezz’ala finora ricoperto pare che gli si addica poco, soprattutto se contiamo che Hiljemark non abbia un passo da centometrista.

Buone cose si vedono nella breve ma intensa parentesi col il Mellizo Barros Schelotto (specialmente nella gara interna contro l’Udinese), ma la parte migliore della stagione di Hiljemark, nonché di tutto il Palermo, coincide con il Ballardini-bis, iniziato col lo 0-4 contro la Juventus.

Il gol di Quaison spiega molto bene perché Hiljemark sia inspiegabile. Giocate del genere le fa con estrema naturalezza, ma con la stessa naturalezza non le fa quasi mai.

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Ballardini cambia modulo, passando al 3-4-3, togliendo un centrocampista a favore di un esterno alto – Quaison. Hiljemark viene posizionato in uno dei due posti da centrale di centrocampo, con a fianco il (perdonato) Maresca.

In 6 partite Ballardini costruisce un finale di stagione senza alcun senso logico, in cui un Palermo quasi mai veramente in lotta per non retrocedere salta dal diciannovesimo al diciassettesimo posto, acquisendo la salvezza nella rocambolesca partita conclusiva di campionato contro il retrocesso ma battagliero Verona.

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La notizia che veramente ci interessa è che si è trovata la collocazione tattica che meglio calza al giovane svedese. Da mediano di un centrocampo a due, Hiljemark si scarica del peso del dover trovare quanto più spesso la giocata decisiva, dividendo questo onere col suo compagno di reparto. La vicinanza di Maresca, uno che sa sempre cosa fare malgrado l’età, gli giova molto. Inoltre quel ruolo lì, decisamente più stazionario rispetto a quello della mezz’ala, valorizza il suo fisico e rende decisamente meno influenti nel suo gioco gli spostamenti in velocità. Finché non mostrerà davvero un balzo in avanti in quanto a personalità, il suo posto in campo è quello lì.

Nonostante il mio criticismo, la stagione di esordio in Serie A di Hiljemark, in numeri, non è poi così male: 39 partite giocate (su 40), 4 gol e 5 assist. Ci si può accontentare di questo, si può pensare che siano buoni numeri per una stagione travagliata oltre ogni limite per il Palermo, oppure ci si può mangiare le mani perché il ragazzo ha dato forse il 60% di quello avrebbe potuto dare. Probabilmente la verità sta nel mezzo, come spesso accade. Personalmente, però, io ho un rapporto conflittuale con chi nella vita ha tanto talento ma non vuole metterlo a frutto. E Hiljemark mi ha sempre messo a dura prova nel nostro rapporto spettatore-giocatore.

In estate, Hiljemark vola in Francia per disputare gli Europei. La Svezia arriva ultima nel girone dell’Italia e lui non colleziona nemmeno un minuto (e non chiamandosi Will Grigg, questo conta abbastanza per non far passare alla storia la sua convocazione).

Nella stagione in corso, ha disputato 16 partite fra Campionato e Coppa Italia con il Palermo, collezionando il maggior numero di presenze sotto la guida tecnica di Roberto De Zerbi. (Sì, un altro. Mica vi sorprenderete ancora?). L’ex allenatore del Foggia trova una nuova evoluzione tattica per Hiljemark: la posizione di trequartista. Qui il paragone si può fare, anche se non perfettamente esatto, con il ruolo di Milinkovic-Savic nella Lazio di Simone Inzaghi. Con le dovute differenze (la stazza più imponente permette per esempio al laziale di diventare sostanzialmente un regista “aereo”), Hiljemark si trova con quel compito di collante fra i due reparti, con meno doti di fantasia canonicamente attribuite ad un trequartista, ma maggiori capacità rispetto a quest’ultimo di pressing, inserimento e, in alcuni casi, palleggio.

Al tramontare dell’esperienza De Zerbi ed all’inizio della direzione di Corini, Hiljemark si ritrova agli estremi del progetto, finendo per non vedere più il campo. Ormai è deciso che andrà via, vuoi per necessità di far cassa, vuoi per il suo desiderio di cambiare aria: dopo un anno e mezzo, termina la sua storia in rosanero. Una storia tormentata, fatta di una vita professionale ai limiti del paradossale e di tante partite giocate sotto le aspettative. Non è stato un colpo da plusvalenze ultra-milionarie, ma nessuno gli impedirà di essere uno di quelli che Zamparini si vanterà di aver scoperto, in futuro.

Come ho già detto, chi limita il proprio talento con me non va a braccetto. Eppure ero preoccupato per le voci di mercato attorno ad Hiljemark. Si parlava di Roma, ma soprattutto di un affare quasi fatto, per sua volontà, alla Dinamo Kiev. La prima scelta avrebbe voluto dire appiccicarsi addosso l’etichetta di onesto comprimario da grande squadra, garantendosi praticamente un posto in Serie A dovunque e finché ne avrebbe avuto voglia. La seconda, molto peggio, avrebbe voluto dire uscire dai radar del calcio che conta alla tenera età di 24 anni.


“Se dovesse venire alla Roma nelle gerarchie di Spalletti sarebbe ultimo dietro il magazziniere”

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Per fortuna – e, volendo essere maliziosi, per via di impellenti esigenze numeriche a centrocampo – si è inserito il Genoa. Il suo valore di mercato è rimasto pressoché invariato: il Palermo genererà una minima plusvalenza di 300.000 Euro a fronte dell’accordo di prestito con obbligo di riscatto stipulato coi rossoblù. La vera notizia, però, è che Hiljemark ha trovato il contesto perfetto per dimostrare al mondo se effettivamente può e vuole crescere. Perfetto innanzitutto per l’allenatore. Ivan Juric non è uno alla quale si sopravvive facilmente, e di certo non senza dare sempre tutto quello che si ha. Prima delle voci di mercato pensavo proprio a lui come allenatore che avrebbe realisticamente potuto far rinascere Hiljemark. Il modulo – che tendenzialmente varia da 3-4-3 a 3-4-1-2 – ripropone quel centrocampo a 4 in cui lo svedese è sembrato più a suo agio nella sua esperienza italiana. Accanto questa volta non avrà l’esperto Maresca, né il partente generale Rincón, per cui servirà assolutamente dare qualcosa in più.

Il talento c’è, il palcoscenico anche. Adesso tocca ad Hiljemark tirare fuori una carriera da Oscar.

Articolo originariamente pubblicato su sportellate.it

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