«Non chiediamoci che cosa è andato storto ieri, ma perché nessuno al di fuori di Mancini sia stato capace di vincere qualcosa dal 2010 ad oggi»
«Non meravigliamoci delle sconfitte, ma di aver vinto l’Europeo con merito». Il messaggio di Arrigo Sacchi è chiaro: all’indomani dell’eliminazione con la Macedonia, l’Italia del calcio deve «ricominciare da capo». Dallo stravolgimento dei settori giovanili, delle strutture di potere, delle idee «dominanti» della Serie A. E dal lavoro di Roberto Mancini, uno dei pochi che l’ex allenatore salva nell’epoca più buia del calcio italiano.
Che cosa è andato storto ieri?
«Mi dispiace che molti non se ne siano ancora accorti. Sono 12 anni che le squadre italiane di club non vincono nulla. In questo pianto generale c’è stato quel capolavoro della vittoria dell’Europeo. Ci dovevamo meravigliare quando Mancini ha fatto quello che ha fatto, non adesso. Allora non chiediamoci cos’è andato storto ieri, ma perché da 12 anni non vinciamo nulla. Perché invece negli anni ’90 vincevano i club e la Nazionale arrivava seconda o terza?».
Secondo lei?
«Il problema è che il calcio è riflesso di storia e cultura di un Paese. Noi siamo piazzati bene nella corruzione, per quello siamo al primo posto in Europa. Ma non si può avere tutto».
Lei parla di cultura della società. E quella calcistica?
«Purtroppo siamo arretrati, non abbiamo idee. Il nostro modo di far calcio è rimasto agli anni ’50 e le società si riempiono di debiti per non vincere niente. Questo perché in Italia c’è un gruppo dominante di tattici, quelli che aspettano l’errore dell’altro per sparargli. Noi abbiamo bisogno di strateghi, che hanno grandi progetti e sanno come raggiungerli».
Mancini ha dimostrato di essere uno stratega. Dobbiamo ripartire da lui?
«Ha fatto belle cose, ha giocato calcio positivo. Non so se sia stato solo un colpo di genio, ma lui è l’unico negli ultimi 12 anni che può dire che ha vinto qualcosa».
E se Mancini non volesse continuare? C’è qualcuno con le idee giuste per sostituirlo?
«No, siamo lontani. Dobbiamo ricominciare da capo. Ripensare i settori giovanili, creare corsi specialistici aggiornati per gli allenatori. Prendere qualche straniero, sì. Ma tutti i settori giovanili sono pieni di stranieri. I corsi di allenatore non sono veri corsi. Sono esami in cui tutti vengono promossi. Sa perché? Perché siamo dei vigliacchi».
Cosa consiglia per modernizzare i corsi di Coverciano?
«Io ho provato a far venire a parlare allenatori dall’estero. Ci raccontavano come sono organizzati e noi siamo dei dilettanti in confronto. Quando succede qualcosa di positivo non dico che sia un miracolo, ma ci va vicino. Non ci sono le basi. Non meravigliamoci delle sconfitte, ma di aver vinto con merito. E senza essere eroici. Che poi mi vuole spiegare cosa c’entra l’eroismo nel calcio?».
Siamo arretrati anche perché siamo restii ad accettare allenatori stranieri in Serie A?
«Non siamo restii, siamo ignoranti, non abbiamo cultura. Abbiamo paura. Viviamo con la filosofia del “prima non prenderle” e giochiamo con troppi giocatori dietro. Il calcio va liberalizzato, la Federazione è presa dal proprio potere. Dobbiamo portare figure professionali avanzate, non necessariamente tecnici, ma che portino idee nuove».
Al netto di questo, come si spiega il passaggio dal paradiso di Wembley all’inferno del Barbera in soli otto mesi?
«Lei conosce la trappola del successo?».
Ce la spieghi lei.
«La trappola del successo è quando ti va bene una cosa e tu credi che ti andrà bene sempre. Noi ci siamo caduti».