Kasatkina, la russa che sfida Putin: “Mi credono una traditrice, non mi importa”

“C’è una cosa che dico sempre: noi guardiamo il mondo con degli occhiali rosa. Ci sembra tutto bello, tutto scintillante e colorato. Ma quando si rompono, il vetro ti colpisce dall’interno. E fa male. I miei occhiali rosa si sono rotti un anno e mezzo fa, quando è iniziata la guerra. Lì ho realizzato tante cose. Il denaro, per esempio: ho capito che non può essere una priorità. Perché non importa quanti soldi hai se sei a Kiev e un missile vola sopra la tua testa”. Daria Kasatkina ha gli occhi vispi e il sorriso dei buoni, ma quando parla di casa sua si fa cupa. Dice che la guerra l’ha cambiata, anche se lei le bombe le ha viste solo in tv. 

Kasatkina, numero 11 WTA, è la miglior tennista russa al mondo e un anno fa ha deciso di liberarsi di “uno zaino pieno di pietre” dicendo che l’invasione del governo del suo Paese in Ucraina fosse “un incubo in piena regola” e dichiarandosi omosessuale, atto illegale in Russia. Sergiy Stakhovsky, ucraino che ha scambiato la racchetta da tennis con il fucile, dice di lei che è “l’unico sportivo russo con le palle”. Dasha la fa più semplice: “Ho solo fatto le mie scelte. È semplice: quando mi guardo allo specchio voglio essere fiera di me, non vergognarmi. Ne sto pagando le conseguenze, ma questo significa essere adulti: affrontare le conseguenze delle proprie decisioni. Di quello che ho fatto non me ne pentirò mai”, anche se, certo, “era molto meglio essere bambini che adulti”. 

Il suo auto-esilio
“Salirei sul primo volo per tornare”

Kasatkina è nata 26 anni fa a Togliatti, 1.000 chilometri a est di Mosca. Lì è nato anche il suo tennis variopinto, fatto di rotazioni, dropshot e colpi di genio nonostante, dice, “con tutte le ragazze potenti che ci sono in giro c’è sempre meno spazio per la creatività”. Lì, in una stanza vuota nella casa di famiglia, si allenava due ore al giorno facendosi pallonetti da sola per rincorrere la pallina e rimandarla contro il muro da sotto le gambe, il cosiddetto “tweener” che oggi padroneggia come poche altre. “Da piccola Togliatti mi sembrava il paese degli unicorni, l’ultima volta che sono tornata la realtà mi ha dato un colpo durissimo. Ho trovato un posto morente, scappano tutti. E non solo lì, la situazione in tutta la Russia è uno schifo”. Ma la “realtà” non rende più facile accettare che, da dissidente del regime, ormai non possa più tornare a casa. “No, no. Penso sempre, caz…”. Deglutisce. “Se solo tutto finisse salirei sul primo volo e andrei a riabbracciare la mia famiglia. Io posso dire qualsiasi cosa contro il governo, ma rimane il mio Paese, non posso cancellarlo”, spiega la campionessa, fra le altre cose, della Coppa del Cremlino, trofeo moscovita che definì il suo “sogno d’infanzia”, quando nel 2018 riuscì a sollevarlo. 

Palermo, Natalia, l’amore
“Non siamo dei robot”

Kasatkina è ormai un’apolide. Le regole impongono che, nei tabelloni dei tornei, il suo nome non venga affiancato dalla sua nazionalità, quella di uno Stato che però non la vuole più. Questa settimana casa sua è una camera d’albergo con vista sul golfo di Mondello. “Sembra di stare in vacanza, non a un torneo”, dice, ma nel pomeriggio si allena sotto il sole cocente per i Palermo Ladies Open, evento WTA 250 di cui è la testa di serie n.1, e che spera possa portarle il primo trofeo dell’anno, dopo due finali perse. Quando ci troviamo lascia il computer alla fidanzata e medaglia olimpica di pattinaggio, Natalia Zabijako, che la segue per tutto il circuito puntandole una telecamera come una mamma orgogliosa alla recita della figlia. “Lei resta lì, deve montare i nostri vlog”, ormai appuntamento settimanale fisso su YouTube. Quando ci sediamo, ne racconta l’importanza: “Viaggiamo tantissimo e ora che non ho nessuno con me, non ho nessun posto che possa chiamare casa, lei è la mia casa. È molto importante, soprattutto di questi tempi in cui non sai che cosa possa succedere. Sai, la gente pensa che siamo robot. Saremo pure atleti, ma abbiamo bisogno di dare amore, riceverlo, sentirci umani. A volte le persone si aspettano di fare il nostro lavoro e basta, come macchine, ma non può essere giusto”. 

Il prezzo del coraggio
“Qualcuno pensa che io sia una traditrice”

“Cosa ne pensano di te in Russia?”, le chiediamo. “È controverso”, sospira. “Qualcuno pensa che sia una traditrice, qualcuno mi trova coraggiosa. Ma io accetto le critiche da chi è intelligente e credo che le brave persone mi supportino. Quello che pensa il resto, non mi importa più”. Nel resto del mondo, però, è vista come un’eroina, le facciamo notare. Lei risponde storcendo il naso. Intanto è l’unica tennista russa che si è guadagnata il rispetto delle colleghe ucraine, che non le stringeranno la mano, come ormai accade con tutte le russe e bielorusse, ma le dimostrano la loro vicinanza in altri modi (la tennista-attivista Elina Svitolina le ha mostrato il pollice in su, dall’altro lato della rete al Roland Garros). “Non so se sia del tutto la loro decisione, la loro scelta. Ma è la loro posizione e posso capirla. Ciò che non è bello è che poi il pubblico fischi te”, come è successo a lei a Parigi. Non è nemmeno delusa dalle colleghe russe e bielorusse che non vogliono esporsi come lei, o così dice. “Io ho deciso di affrontarne le conseguenze, qualcun altro non vorrà farlo. C’è chi ha le proprie famiglie, chi fa i propri affari in Russia. Capisco anche che la mia decisione possa essere vista come egoista. Tu dici qualcosa e poi chi davvero ne paga le conseguenze sono le persone che ami. Non sono nella posizione per giudicare. Ci troviamo fra due fuochi ed è una situazione spiacevole”. 

Sport e politica
Che potere hanno gli atleti?

L’invasione dell’Ucraina ha rispolverato l’infinito dibattito sul potere che hanno gli sportivi di cambiare le cose quando… “No, non possiamo fermare la guerra, purtroppo”, interrompe amareggiata la domanda. “Possiamo supportare le persone, dargli speranza, la forza di andare avanti. Sulle decisioni che vengono dall’alto non abbiamo potere, non ce l’avremo mai”, continua. “Però sulla gente abbiamo davvero una grossa influenza. È il riscontro che sto ricevendo da chi non può più esprimersi perché le leggi in Russia sono diventate ridicole, terribili verso la comunità LGBTQ+. Da un lato questo fa sentire bene, perché sento di star facendo qualcosa di buono per queste persone e mi sento sostenuta da loro nelle mie decisioni; allo stesso tempo, però, è tristissimo essere arrivati a questo punto, che le persone siano terrorizzate di essere se stesse. Questo il massimo che posso fare”. Non è già molto? “È un sostegno, ma nulla sta davvero cambiando. Spero che un giorno accada, che la gente non debba aver paura di camminare per strada mano nella mano con la persona che ama”. 

Speranza e futuro
“La guerra mi ha reso più umana”

La Daria di oggi è diversa da quella di due anni fa, ancor di più da quella tirata su dal fango dei cattivi pensieri da uno psicologo, quattro anni fa. “Dopo la guerra ho capito che la pressione sul campo non è grande come credi davvero e che il tennis non è tutto nella vita. Mi sento anche più umana, perché ho capito che se tutti facciamo una piccola buona azione più, il mondo diventerà un posto migliore”. Le chiediamo come le piacerebbe essere ricordata, quando la sua carriera sarà finita, come la giocatrice raffinata che tirava vincenti sotto le gambe o come la ragazza coraggiosa che ha cercato di cambiare le cose. “Voglio solo essere ricordata come una brava persona, specialmente da chi mi conosce davvero. Del resto, non me ne frega nulla”.

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