21 anni fa batteva Federer a Wimbledon. Ora Ancic vince a Wall Street

Questo articolo è stato pubblicato sul sito della Gazzetta dello Sport.

Se vi suona il nome di Mario Ancic è perché prometteva di diventare uno dei migliori tennisti della sua generazione. Per qualcuno era “Baby Goran”, erede designato del connazionale croato Ivanisevic con cui vinse la Davis nel 2005. Fu più scontata la stampa britannica quando lo ribattezzò “Super Mario”, il giorno dopo la sua mitica vittoria contro Federer. Ma mitica per davvero: era il 25 giugno 2002, era a Wimbledon, era il suo esordio sull’erba londinese e quella sconfitta sarebbe stata l’unica subita da Re Roger all’All England di lì a sei anni.

Per lui, invece, il biglietto da visita di una carriera che in poco tempo lo avrebbe visto stabile fra i primi 10 al mondo. Che qualcosa sia andato storto in questo piano da favola lo dice il suo abbigliamento quando accende la webcam. La polo sintetica bianca è stata sostituita da una camicia azzurra e una cravatta rossa. Dietro questo omone di un metro e 96 e due spalle così, l’ufficio a vetri fa sbirciare sui vicini grattaceli newyorkesi. 

Di storto è andato che a 23 anni ad Ancic hanno diagnosticato un problema al cuore che per tre anni l’ha tenuto più fuori che dentro al campo. Tre anni di assuefazione al dolore, passati a sputare sangue alla fine degli allenamenti, a provarci e riprovarci, tornare in campo per stare peggio, disattendere i consigli dei dottori per dimostrare qualcosa a se stesso. Oggi, che di anni ne ha 39, parla della sua seconda vita con serenità: da Wimbledon è passato a Wall Street, vicepresidente del fondo di investimento One Equity Partners. 

Dal campo alla scrivania
La pressione resta

“Ma dal campo alla scrivania non è stato un percorso netto”, spiega Ancic, che aveva iniziato a studiare in Croazia quando ancora tornare sui campi da tennis rimaneva una speranza. “Lo sport era stato brutalmente onesto con me e così ho imparato a esserlo anche io: quando ho dovuto mettere un punto alla mia carriera, mi sono detto che avrei dovuto continuare a studiare. Non avevo un cammino chiaro in testa, ma sapevo che qualcosa sarebbe venuta fuori. Così ho proseguito gli studi alla Columbia, qui a New York, e dopo un po’ ho trovato spazio nel settore degli investimenti. Non avrei mai detto che sarebbe stata la mia strada, ma si è rivelata la scelta giusta. E poi il tennis mi ha lasciato in eredità gli strumenti per gestire la pressione, e quando ballano centinaia di milioni di dollari non è poca”, racconta sereno. 

Fra riunioni e partite
Punta su Sinner
 

Lontano dai folli ritmi del circuito, oggi la sua vita ha conosciuto la routine: sveglia presto, anzi “molto presto, perché ho bisogno di fare sport. Palestra, corsa, bici, qualsiasi cosa”. “Se sei stato un atleta una volta, lo sarai per sempre”, puntualizza. Poi “doccia veloce, corro in ufficio e inizio subito con le riunioni. Tante riunioni. Di base, quello che facciamo è investire in aziende per aiutarle a crescere e creare valore per gli azionisti. Vogliamo costruire campioni del mondo, se mi passa il vocabolo sportivo. E poi viaggio spesso, anche in Italia, perché se vuoi investirci devi conoscerle le aziende, e noi ne seguiamo un po’ dalle vostre parti”. Da noi con attenzione guarda anche il tennis. Dice che il movimento azzurro “va fortissimo” e punta tutto su Jannik Sinner: “Sono sicuro che la prossima grande rivalità del gioco sarà fra lui e Alcaraz. Loro solo l’esempio di come oggi ci sia una profondità di talento spaventosa, ma servirà lavorare perché se ne accorga anche il grande pubblico”. L’opinione è qualificata: Ancic, prima di trovare spazio nella finanza, è passato anche dagli uffici dell’NBA. 

Gli infortuni e il calvario
Tutto inizia col cuore

l calvario Gli infortuni e il dolore A proposito di tennis, la domanda è spontanea: dopo tanto dolore, ci gioca ancora? Risponde come fosse un’ingenuità: “Certo, ogni fine settimana”. La curiosità tanto ingenua non lo sarebbe. I problemi di salute che hanno perseguitato Ancic sono iniziati nel 2007, ma l’ultimo match l’ha giocato nel 2010. “Smettere è stato difficile”, riconosce: come fai ad accettare che il tuo corpo, che per tutta la vita sembrava fatto per lo sport, di colpo non serve più? “Io fino a 23 anni non avevo mai avuto nessun infortunio o problema di salute. Da lì in poi, però, sembrava che li avessi tutti. Il calvario è cominciato con i problemi al cuore, che hanno dato il via a tutta a una serie infinita di infortuni. Un’operazione al ginocchio, una alla spalla… Poi tornavo, provavo, riprovavo e non ci riuscivo, e più continuavo a provarci più mi infortunavo. È stato molto scoraggiante. Per circa tre anni ero stato più in riabilitazione e in ospedale che a fare sport. A un certo punto era chiaro che non potessi continuare a ignorare i consigli dei dottori, giocare ancora e ancora sul dolore. Ho capito di aver dato più di quel che potevo e che se avessi applicato la stessa mentalità ad altre opportunità avrei potuto sfruttarle meglio. Oggi è una decisione di cui sono molto orgoglioso, perché sarebbe stato molto più facile illudersi di poter competere ancora, ma la realtà era un’altra”. 

Carriera breve ma intensa
La Davis con la Croazia
 

 Ancic, però, resta una promessa non mantenuta. I big four li aveva battuti e quella che fosse lui la next big thing del gioco era più di una sensazione. “Chiedilo a chi ti pare: ce n’erano pochi che lavorassero duro come me nel circuito. Per questo non ho rimpianti”. E del suo percorso, così sciagurato, dice che non cambierebbe “nulla, amavo quella vita! È vero, è uno sport sanguinario: non sei mai a casa, non vedi la tua famiglia, viaggi ogni settimana da un lato all’altro del mondo a volte anche solo per giocare e perdere una partita. Ma era la vita che avevo scelto e mi faceva impazzire. Sfortunatamente è stata troppo breve. Io sono comunque orgoglioso di essere uno dei pochi che ha battuto Feder, Nadal, Djokovic e Sir Andy Murray, anche se non sono i risultati la parte più importante della mia carriera — continua —. Io amavo il processo, allenarmi fino allo sfinimento, spingermi oltre il limite, godere del semplice atto di competere”.

Il privilegio della pressione

“Godetevi persino il dolore”

Il tempo ha sanato le ferite, dato senso al dolore. Ma tanti ricordi sono sempre stati dolci per Ancic. Il più dolce? “Avere diverse scelte mi sembra già un’ottima cosa!”, esclama. Pensa a Djokovic e Federer, che lui ha battuto a Wimbledon nel momento in cui sull’erba londinese iniziava il loro dominio. C’è la Davis con la Croazia, “roba che viene ancora la pelle d’oca a pensarci: vincere un mondiale con un Paese piccolissimo e contro giganti come Russia e Stati Uniti. Ma se devo scegliere solo un momento, forse prendo il bronzo olimpico di doppio, nel 2004. Avevo 19 anni e fu il segnale che mi fece capire che avrei fatto grandi cose nel tennis”. Lì sono iniziate le aspettative, le pressioni, ben prima del suo calvario. Oggi che i giovani si trovano a combatterci contro, cercano di sgomitare fra la dittatura del risultato e un equilibrio mentale, il suo consiglio è “divertitevi, godetevela. Che non significa fingere di essere sempre felici e sorridenti. Significa godersi il percorso, godersi persino il dolore, perché un giorno non ci sarà più nulla”.

 
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