La grande vendetta di Rybakina, campionessa che non sorride mai

Chiedetelo a Elena Rybakina se la vendetta è un piatto che va servito freddo. Ha 23 anni, ma di vite tennistiche ne ha già vissute tre. Nel 2020 dava spettacolo, prima che la pandemia fermasse tutti, sì, ma soprattutto una sua ascesa che sembrava inesorabile. Al ritorno in campo non è stata più lei, non vinceva più. “Sono stati tempi folli”, fino alla scorsa estate. Sollevare il piatto sacro di Wimbledon sembrava l’incoronazione definitiva.

Campionessa nel torneo dei tornei: non era più un astro nascente, era un punto fermo nel firmamento tennistico. Eppure, della sua vittoria all’All England Club se n’è parlato per sole due cose: per il fatto che lei fosse nata in Russia (con passaporto kazako) nell’anno in cui i russi non erano stati ammessi, e perché alla vittoria, le rimproveravano, non aveva mostrato abbastanza gioia. Oltre al danno, la beffa. Punti assegnati: 0. Ranking all’inizio del 2023: 25. Il mondo del tennis, che guardando la top 10 non trovava il suo nome, se n’è dimenticata in fretta, come se fosse stata un’allucinazione collettiva. Un incidente di percorso fra una vittoria di Swiatek e l’altra.

IN MISSIONE

Oggi, arrivata in semifinale dell’Australian Open sbaragliando la concorrenza con aggraziata brutalità, sembra in missione per qualcosa in più di un semplice slam. È immersa nella stessa routine di eccellenza che aveva trovato a Wimbledon, ma gioca con una spinta in più, la volontà di dimostrare che se i riflettori proprio non vogliono puntarli su di lei, sarà lei a spostarli, un dritto dopo l’altro. Vuole il suo slam senza “ma” e senza “però”, senza domande sulla Russia, senza andare al prossimo torneo da testa di serie numero 22 quando lei, ci sta dicendo, può battere chiunque. “È dura competere contro di me, lo capisco”.

BASTA CAMPI 13

Non sono speculazioni, per lei Wimbledon è rimasta una macchia sul curriculum. Di quelle che, nello sport, si cancellano solo con altre vittorie. “Non mi sento una campionessa. Era il mio sogno, è un peccato sentirsi così”, aveva detto alla prima conferenza stampa disponibile. Niente punti assegnati non voleva solo dire un riconoscimento a metà, ma anche occasioni mancate. Come le Finals, che hanno visto in finale due delle poche giocatrici del circuito con un’artiglieria pesante come la sua, Caroline Garcia e Aryna Sabalenka. Nei tornei in cui poteva andare, pure lo smacco di venire trattata ancora come l’ultima arrivata. A un certo punto anche una ragazza imperturbabile come lei se n’è dovuta lamentare. Come a Cincinnati: “Gioco contro una grande campionessa, Muguruza, e mi mettono nel Campo 4, mi sembra un problema”. Poi a Melbourne Park, dove ha fatto esordio sul Campo 13. “Può essere una motivazione per vincere ancora. Ma magari la prossima volta mi faranno giocare da un’altra parte”, ha detto sorridendo quando già era chiaro che non fosse arrivata in Australia per una comparsata. Filosofia raffinata dopo la vittoria su Iga Swiatek, la vittima più prestigiosa che potesse abbattere nel tabellone: “Non importa tanto il campo in cui inizi, ma quello su cui finisci il torneo”. Comunque vada, sarà la Rod Laver Arena.

PERCORSO NETTO

Un metro e 84, colpitrice fenomenale, servizio fulminante, leve lunghe ma scattanti a completare un pacchetto senza grandi punti deboli, nella giornata giusta. È questo l’identikit della killer silenziosa di Melbourne. Ha eliminato Elisabetta Cocciaretto, Kaja Juvan, Danielle Collins (l’unica ad averla costretta a un terzo set), poi Iga Swiatek e Jelena Ostapenko. La vittoria contro la numero uno al mondo è stata la più scenica. Swiatek è stata l’assoluta dominatrice nel 2022, una giocatrice semplicemente imbattibile. Rybakina l’ha fatta sembrare roba vecchia, obsoleta, l’ha infilata in un uragano di dritti vincenti e le ha detto “adesso esci”. Tutto quello che avrebbe saputo fare la polacca, lei lo ha fatto più forte e più veloce. L’ha fatto senza muovere un muscolo del viso perché mentre “molte giocatrici provano a imparare come essere calme, io lo sono già. Anzi, il mio coach dice che dovrei imparare a mostrare più emozioni”. L’ha resa fragile in campo, l’ha inviata in sala stampa a esprimere le sue ansie come se le avesse arrecato qualcosa di più di una sconfitta.

DUE VITTORIE ANCORA

Poi la solita liturgia, ripetuta anche dopo la vittoria ai quarti con Ostapenko. Un sorriso accennato, quasi forzato, una mano a quello che ne è rimasto dell’avversaria, qualche applauso neanche troppo convito al pubblico. Le esultanze sembra volerle lasciare per dopo. Almeno altre due vittorie; una, intanto, contro la sua avversaria in semifinale Vika Azarenka. La vendetta, d’altronde, è un piatto che va servito freddo, e lei un paio di cose dire al mondo del tennis ce le ha ancora.

 

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