PROSPETTIVE— Vederla vincere gli Us Open, però, rimarrebbe una grossa sorpresa. È vero, Raducanu ha dei mezzi tecnici da top ma, anche se fosse davvero tornata sui binari giusti, per sollevare il trofeo dovrebbe mettere in fila sette vittorie. Il suo fisico, che così poco tennis ha sopportato quest’anno, potrebbe non saperla accompagnare così lontano. Le scorse settimane, fra l’altro, hanno comunque raccontato di una giocatrice che soffre con avversarie di maggior esperienza e continuità (vedi Pegula a Cincinnati) o con chi sa far prevalere un gioco più muscolare (come Garcia a Wimbledon). In ogni caso, il diritto a difendere quei 2.040 punti se l’è guadagnato tutto. Mantenerli (almeno in buona parte) vorrebbe dire che le sensazioni della prima ora su di lei non erano campate in aria. Perderli vorrebbe dire scivolare fuori dalle prime 70. Chissà, magari una buona occasione per riprendere il cammino senza l’ansia dei riflettori puntati addosso. Per tornare c’è tanto tempo.
Enigma Raducanu: l’anno da incubo della regina senza corona
Questo articolo è stato pubblicato originariamente sulla Gazzetta dello Sport.
“It’s a joke!”, continuava a ripetere Tim Henman, ex tennista britannico, oggi commentatore, dopo l’ultima finale degli Us Open. “È uno scherzo! Emma Raducanu ha 18 anni, ha appena finito la scuola, arriva dalle qualificazioni e ha vinto gli Us Open senza mai perdere un set. È una presa in giro!”. Altro che: era tutto vero. Come cambiano le cose. Solo un anno dopo, quelle stesse parole pronunciate proprio da Emma Raducanu suonavano molto diverse.
“It’s a joke”, è stata anche la sua risposta esasperata all’ennesimo giornalista che le chiedeva come si convivesse con la pressione di essere considerata una stella, senza riuscire a trovare più alcun risultato degno di nota. “È una presa in giro. Non c’è pressione. Perché dovrebbe essercene? Ho 19 anni e ho vinto uno Slam. La pressione semmai dovrebbe essere sugli altri”. Mentre parla scuote la testa, facendo oscillare i suoi vistosi orecchini di diamanti e perle dal valore di circa 10.000 dollari, cortesia di uno dei tanti sponsor che, dopo il suo exploit inaspettato, ha visto in lei il potenziale da pop star.
LA FAVOLA— Quella che, oggi, viene trattata dai tabloid come una giocatrice dagli “atteggiamenti oltraggiosi”, “a cui non dispiace perdere”, 12 mesi fa aveva compiuto un autentico miracolo sportivo. Raducanu, appena maggiorenne, è diventata una campionessa Slam prima di aver vinto un qualsiasi altro torneo Wta. Anzi, prima di aver vinto una qualsiasi partita in un evento del circuito, visto che precedentemente aveva collezionato le sue uniche vittorie in un altro Slam, Wimbledon, a cui aveva avuto accesso grazie a una wild card. È diventata la prima di sempre, donna o uomo, a sollevare un major partendo dalle qualificazioni, l’unica britannica a vincerne uno dal 1977. È entrata in tabellone a New York da numero 150 al mondo, ha dominato tutte le sue avversarie con i piedi dentro al campo e la testa fra le nuvole, ne è uscita da numero 23 e con due milioni e mezzo di dollari nel conto in banca. Tutti erano d’accordo: era nata una fuoriclasse. Nessuno, però, si preoccupava del fatto che, nello stesso istante in cui si gettava a terra, incredula, per la vittoria finale contro Leylah Fernández, fossero nate anche delle aspettative difficilissime da sostenere.
IL CALO— Oggi Raducanu torna a Flushing Meadows nell’insolita condizione di campionessa in carica che non figura nel gruppo delle favorite alla vittoria. Nell’ultimo anno, infatti, i suoi risultati sono stati deprimenti: non è mai riuscita adottenere tre vittorie di fila e il suo record dopo l’exploit negli Stati Uniti è di 15 vittorie e 19 sconfitte. La già citata pressione, quella di essersi ritrovata tennista numero uno della patria dei tabloid senza praticamente sapere come, è stata certamente un fattore. Prima Raducanu volava in campo, trovava traiettorie impossibili, rideva sorpresa a ogni punto come fosse un nuovo giro sulle giostre. Giocava leggera. Scesa dall’ottovolante newyorkese, però, non è riuscita a trasformare lo straordinario in ordinario e ha perso l’incoscienza che l’ha portata lì. La testa si è appesantita, come il suo gioco.
NUOVA VITA— Da studentessa modello in matematica, Raducanu si è trovata catapultata nella vita in tour, fra viaggi massacranti e routine imprevedibili, dovendo fra l’altro familiarizzare con superfici a lei nuove, come la terra. E dove la pressione le ha tolto certezze, le avversarie hanno banchettato: “Ha perso il rispetto nello spogliatoio”, ha notato l’ex numero 5 al mondo Hantuchova. “Adesso tutti vogliono batterla e stanno capendo come giocare contro di lei”.
NUOVO TENNIS — Eccola, l’altra chiave: Raducanu ha smesso di essere la sorpresa. Dopo una ventina di match sotto i riflettori del mondo, le avversarie hanno scoperto il suo gioco e, soprattutto, come disinnescarlo. Non solo: erano motivate a farlo per mostrare alla nuova arrivata quant’è difficile, davvero, la vita lì fuori. L’inglese ha risposto cambiando tre allenatori in un anno, alla ricerca di quella magia andata perduta, e che ancora non ha ritrovato. La spietatezza del tennis: un giorno ti riesce tutto, il giorno dopo nulla, e non sai com’è successo. La paura si è impossessata del suo gioco, che da prodigio di aggressività e manualità si è rifugiato nella speculazione. “Ho iniziato a giocare per mandare la palla dall’altro lato, per non sbagliare”, ha riconosciuto di recente. Lì è scomparso il suo tennis.
INFORTUNI— Come se non bastasse, la prima stagione da professionista le ha presentato un conto salatissimo per il suo fisico, che non le ha mai permesso di trovare continuità. La lista di infortuni è impressionante: gennaio, vesciche alle mani; febbraio, problemi muscolari alla gamba; marzo, problemi alla schiena; aprile, vesciche ai piedi; maggio, ancora la schiena; giugno, uno strappo agli addominali obliqui, con tre ritiri spalmati qua e là. Un incubo. O magari un’occasione per imparare. L’ha detto lei stessa: “In ogni torneo sto apprendendo di cosa è capace il mio corpo, cosa funziona e cosa no. Il problema è che lo sto facendo sotto gli occhi di tutti”. Se non altro, può consolarla il pensiero che, dopo aver addestrato il suo fisico alle fatiche del circuito, difficilmente potrà soffrire più di quest’anno nelle stagioni future.
CONTRASTI— Mentre tutto in campo andava a rotoli e i tabloid si scagliavano su di lei, fuori Emma è diventata un pop star che trascende il tennis. Interviste negli show più visti, tappeti rossi, premi e tanti, tanti contratti. Guardatela, Raducanu è tutto quello che vuole il mercato: la sconosciuta che realizza il sogno americano agli Us Open, bella, simpatica, nazionalità britannica ma nata a Toronto da padre romeno e madre cinese, parla un ottimo mandarino. E infatti è diventata una multinazionale ambulante. Solo la lista degli sponsor accumulati negli ultimi mesi supera quella degli infortuni: Tiffany’s (ricordate gli orecchini?), Dior, Evian, British Airways, Porsche, Vodafone, Hsbc. Ogni firma vale anche milioni di sterline.
SPERANZA— Insomma, più bonifici che punti in classifica, evidentemente. “E per questo mi dicono che non penso al tennis, quando mi alleno sei ore al giorno”, accusa lei. Eppure, qualcosa si muove. D’altronde, se ogni sconfitta, come gli infortuni, lei l’ha sempre bollata come “un apprendimento”, in questi 12 mesi deve avere imparato un bel po’. E, fra tutti gli allenatori che hanno provato a mettere a posto i suoi ingranaggi, sembra che l’ultimo abbia toccato finalmente i tasti giusti. Da quando si è affidata ai metodi non convenzionali di Dmitrj Tursunov, infatti, è scattato qualcosa. “Mi sento di nuovo libera, un po’ come lo scorso anno. Credo sia il primo torneo in cui sono tornata a rischiare con i miei colpi. Mi sento bene, di nuovo nella giusta direzione”, ha spiegato. Si è visto a Cincinnati, dove ha eliminato due mostri sacri come Serena Williams e Victoria Azarenka, prima di arrendersi a Jessica Pegula nel terzo turno.