Vincente e tormentata: Swiatek, la regina degli Us Open che non crede in se stessa

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su La Gazzetta dello Sport.
 
Facciamo un gioco. Prendete la foto migliore che riuscite a trovare della campionessa degli Us Open, Iga Swiatek, mentre bacia il trofeo appena conquistato e poi fate rewind di due giorni quasi esatti. Nella conferenza stampa per la qualificazione alla sua terza finale Slam, troverete una ragazza dalla faccia seria a raccontarvi, fra l’apatico e il disilluso, che dovrebbe “sicuramente avere più fiducia” in se stessa. Non si direbbe, ma è sempre Iga Swiatek.
 
La numero 1 al mondo, l’assoluta dominatrice del 2022, quella che poi in finale non avrebbe concesso neanche un set alla (prossima) numero due Ons Jabeur, a raccontare che, alla fine, non è che sia tutto ‘sto granché. Un paradosso. “Non ho fiducia in me”, rimarca dopo una risata nervosa. Ci pensa su un attimo. Dai, facciamo almeno che “sulla terra di me posso fidarmi, questo sì”, ma per il resto niente da fare. Un contentino alla giornalista che le aveva chiesto tutto il contrario, cioè se il fatto di aver inesorabilmente ricominciato a vincere non fosse frutto proprio dell’inossidabile fede nei propri mezzi.
 
MESI DIFFICILI—   Potremmo essere di fronte all’insaziabile voglia di miglioramento del campione? Forse. Tuttavia, le sue dichiarazioni non arrivavano dal nulla. Prima di atterrare a New York due settimane fa, Swiatek veniva da tre mesi complessi. Cominciati con qualche guaio fisico, che l’aveva portata a Wimbledon senza passare per i tornei di preparazione. A Londra ha ritrovato l’erba, quella superficie che ancora sta cercando di decifrare, e una sconfitta prematura le ha lasciato uno sconforto duro da superare. Poi la disfatta nel torneo di casa, sulla terra di Varsavia, e via verso il cemento americano. Dove però ha trovato delle palline, diverse da quelle dei colleghi uomini, da lei definite “orribili”. E mentre prendeva le misure ai rimbalzi, è uscita al secondo turno a Toronto e Cincinnati. Non sarebbe stato uno scandalo se fosse andata male anche a Flushing Meadows.
 
 
LAVORARE SULLA TESTA—   Per questo dietro la vittoria dello Us Open c’è molto del lavoro con la sua psicologa, Daria Abramoviwicz. È anche grazie a lei se Iga è passata dal rintanarsi a piangere in bagno dopo le sconfitte all’essere la donna da battere nel circuito. E siccome la testa, come riconosce Swiatek, “è la cosa più importante ad alto livello”, l’apporto di Daria ha influito anche sul suo tennis. Oggi che l’insoddisfazione è diventata motivazione, la polacca ha capito che “non c’è solo una maniera di giocare” e che il piano può variare se le cose vanno male. Quale miglior esempio delle due settimane a Flushing Meadows, dove ha portato a casa uno Slam di lotta più che del solito inattaccabile dominio, superando un paio di spaventi nel percorso (le vittorie al terzo set con Niemeier e Sabalenka, soprattutto). “Vincere quando non stai giocando bene è una delle più grandi soddisfazioni possibili”, ha detto. E una prova di forza notevole, aggiungiamo noi.
 
COSTANZA E MIGLIORAMENTI—   Che l’autostima la sorregga o meno, il dominio di Swiatek nel 2022 è semplicemente impressionante. A 21 anni e nel pieno della propria crescita personale e tennistica (quella appena vinta era la prima finale Slam in carriera sul cemento), la polacca ha ridefinito il concetto di costanza in un circuito femminile lungamente criticato per la mancanza di regolarità. Sono sette i titoli vinti quest’anno, 37 le vittorie di fila registrate in primavera — un record per il XXI secolo — e due i trofei Slam sollevati, su due superfici diverse. Con il bottino degli Us Open, lunedì sfonderà il muro dei 10.365 punti nel ranking Wta, cosa che dal 2013 a oggi era riuscita solo a Serena. Guardando ai colleghi uomini, siamo distanti dagli oltre 16mila di Djokovic nel 2015, ma i punti di Iga sono sensibilmente di più dei circa seimila con cui il vincitore del tabellone maschile — uno fra Alcaraz e Ruud — si porterà in vetta alla classifica Atp. Nel torneo in cui abbiamo salutato Serena, insomma, si è rinforzata una leadership molto diversa, ma che promette ugualmente di resistere per gli anni a venire. “Il cielo è il limite”, parola sua.
 
LA RIVALITÀ DI QUESTA EPOCA?—   A proposito di costanza. Una partita sottotono, a tratti sconclusionata, di Ons Jabeur (sconfitta per 6-2, 7-6) non cancella il fatto che la tunisina abbia raggiunto due finali Slam di fila, le stesse centrate in totale da Swiatek quest’anno. Non succedeva dal 2006 che due donne si spingessero così avanti nei major nella stessa stagione, senza fare Williams di cognome. Dopo anni di vuoto e ricambio, siamo di fronte alla rivalità di cui aveva bisogno il tennis femminile. Con tutta la narrativa che richiede: il gioco roccioso e atletico di Swiatek contro quello vario e stravagante di Jabeur, Europa contro Africa, la macchina di vittorie contro la “Ministra della Felicità”, come chiamano la tunisina in patria. Così diverse, ma così amiche. Basta guardare Jabeur, che sul piedistallo della premiazione dell’avversaria avrebbe tutto il diritto di non volerne sapere nulla del mondo, ma pensa solo ad aggiustare il colletto della felpa a Iga. Non sia mai che venga male nella foto in cui bacia il trofeo, per quello bastava la conferenza di due giorni prima.

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